Il volto di Michelangelo

a cura di Pina Ragionieri

Firenze, Casa Buonarroti, 7 maggio – 30 luglio 2008

L’interesse per l’argomento è naturale per chi, lavorando all’interno del museo della Casa Buonarroti, per così dire all’ombra di Michelangelo, dei ritratti dal vero del Maestro ne può vedere in originale ben quattro (che saranno tutti esposti in questa mostra); e sono i dipinti di Giuliano Bugiardini e di Jacopino del Conte, la medaglia di Leone Leoni e quel vero, emozionante ritratto dell’anima che è il busto in bronzo di Daniele da Volterra. Ma nella bibliografia michelangiolesca sono tutt’altro che numerose le voci che interessano il nostro discorso; ed è con ogni probabilità da confermare l’opinione secondo la quale alla base della situazione sta l’avversione dell’artista a ritrarsi e ad essere ritratto, come testimoniano gli antichi biografi. Al succinto elenco si possono fare poche aggiunte, tra le quali spicca l’acquerello di Francisco de Hollanda, immagine singolarmente domestica di un Michelangelo più che sessantenne, che evoca alla nostra memoria le conversazioni di San Silvestro presiedute da Vittoria Colonna, e in parte trascritte dall’allora ventunenne portoghese. Questo raro ritratto presenta Michelangelo con in testa un cappello con breve tesa, accessorio di abbigliamento all’origine di tutta una serie di ritratti ed incisioni, sicuramente da riferire al prototipo di Jacopino, ma recanti un copricapo simile a quello dell’acquerello del portoghese.
Si può dire che le altre immagini di Michelangelo sono derivazioni dai prototipi qui indicati. Incisioni e immagini cinquecentesche, numerose data la fama di Michelangelo, furono elencate in numero di circa cento da Ernst Steinmann, lo studioso che all’inizio del secondo decennio del Novecento scandagliò coraggiosamente, con serietà scientifica e in gran parte di prima mano, l’argomento, concludendo con le immagini di primo Seicento della “Galleria” della Casa Buonarroti. Benemerito, in che misura non staremo qui a ripetere, degli studi michelangioleschi, lo storico dell’arte tedesco fu coinvolto nel 1911 nelle celebrazioni del cinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia. Ci furono iniziative in tutta Italia; nella capitale si svolse la grande Esposizione internazionale di Roma a Valle Giulia, e alla sua ombra fiorirono molte altre iniziative, tra le quali, a Castel Sant’Angelo, le cosiddette “Mostre retrospettive”. Qui lo Steinmann collaborò alla prima e, a quanto sappiamo, ad oggi unica, mostra di ritratti michelangioleschi, con una competenza di lunga data che sarebbe confluita nella sua monumentale opera sullo stesso tema pubblicata nel 1913.
L’argomento affrontato dalla nostra mostra presenta dunque un indiscutibile carattere di novità. Ma l’immagine di Michelangelo ci è tramandata anche da un altro genere di ritratto: come per altri grandi, e non solo della storia dell’arte, la sua fisionomia fu infatti riprodotta da artisti a lui contemporanei, conferendone le caratteristiche a personaggi effigiati in scene d’insieme; e qui soccorrono molti esempi, tra i quali basterà ricordare il Raffaello della Stanza della Segnatura in Vaticano; o il Vasari del Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio a Firenze: opere non trasportabili che in mostra saranno evocate con il tramite di elaborazioni digitali.
Sono presenti in mostra alcune immagini contemporanee al Maestro, e conseguenza della sua fama, che si collocano tra l’aneddoto e la fantasia: proviene dal British Museum una rarissima e bella incisione che ritrae, in meditazione, il Michelangelo ventitreenne del primo soggiorno romano e della Pietà di San Pietro; una pagina di una preziosa cinquecentina mostra “Michael Fiorentino” che scolpisce, seminudo e con gran foga, una statua femminile nella quale si volle riconoscere l’Aurora della Sagrestia Nuova. Dopo la scomparsa dell’artista, alla soglia degli anni ottanta del secolo, in un piacevole quadretto della Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini, anch’esso presente in mostra, Federico Zuccari dipinge il fratello Taddeo mentre dipinge la facciata di palazzo Mattei, intanto che Michelangelo, nel corso di una delle sue consuete passeggiate per Roma, si sofferma a osservarlo.
È noto che Michelangelo raffigurò se stesso assai raramente. Citiamo qui l’autoritratto inserito nella pelle scorticata del San Bartolomeo del Giudizio finale sistino, e il volto sereno, al di là di ogni dolore, del Nicodemo della Pietà del Museo dell’Opera del Duomo a Firenze: altri due casi in cui aiuterà il visitatore l’elaborazione digitale. Sono situazioni abbastanza sporadiche ed eccezionali che ci permettono di comprendere come mai è divenuta nei secoli proverbiale la ritrosia dell’artista a effigiare gli altri e se stesso: lo dice il Vasari, e non bastano a contraddirlo i due esempi di autoritratto or ora citati, né la distrutta statua bronzea di Giulio II, né il ritratto perduto del bellissimo Tommaso Cavalieri, né le effigi di Pietro Aretino e di Biagio da Cesena che si riconoscono in quello spietato affresco di eterna salvazione e condanna che è il Giudizio finale. E infatti i due antichi biografi preferirono ritrarre il Buonarroti tramandandone le fattezze per iscritto, il Condivi (1553) mischiando caratteristiche fisiche con tendenze, abitudini e pensieri, il Vasari, nell’edizione giuntina del 1568, copiando senza remora alcuna la descrizione del collega, fin nei particolari di certe pagliuzze fra l’oro e l’azzurro negli occhi del Maestro.

Il nostro discorso non si ferma però ai contemporanei del Maestro, anche perché visitando una mostra all’interno della Casa Buonarroti si potrà ammirare la sala al primo piano del museo detta “Galleria”, nella quale il pronipote di Michelangelo organizzò un omaggio al grande avo, a circa cinquant’anni dalla sua morte, ricordandone virtù pubbliche e private in una serie di opere affidate agli artisti di maggior rilievo operanti nella prima parte del Seicento a Firenze.
Giungeranno in Casa Buonarroti rari esempi di ritratti secenteschi e settecenteschi, e non mancheranno immagini del mito di Michelangelo, piacevole e immaginifico, creato dal romanticismo storico. Proprio di qui partirà il percorso espositivo: disegni, sculture, medaglie e dipinti , in un viaggio a ritroso nel tempo che comincerà dall’Ottocento per giungere alla fine della mostra alle immagini eseguite quando il Maestro era ancora in vita. Ci sarà infine, a conclusione della mostra, un ritratto “interiore” dell’artista, attraverso una presentazione non solo dei ritratti “scritti” che di lui vennero fatti, ma anche delle sue Rime. Accanto al gran volume dello Steinmann e a un interessante brogliaccio manoscritto della stessa opera (quasi un menabò!), si potranno vedere infatti poesie autografe del Maestro, e alcune edizioni delle sue rime, da quella del 1623, a cura del pronipote (profondamente alterata, con fuorvianti correzioni che riflettevano le preoccupazioni moralistiche del tempo), a quella curata con rigore critico nel 1897 da Carl Frey.